Un tempo si adoperavano fasci di bruschi (o pungitopo), tirati su e giù nel camino con una corda; così capita anche oggi con il fai da te e a volte capita che questo cespo di bruschi si inceppi nella canna fumaria e che poi per liberarlo debba intervenire lo spazzacamino. Il mazzetto di rovi uscito dal camino viene poi offerto alla signora come se fosse un mazzolino di fiori da sposa.
La storia degli spazzacamini della Val di Vigezzo
https://www.albertospazzacamino.com/albertospazzacamino/la_storia_degli_spazzacamini.html
Nell’immaginario collettivo sentendo la parola spazzacamino viene in mente il film di Mery Poppins, con la figura romantica di Bert (diminutivo di Albert) il simpatico spazzacamino che vive la vita giorno per giorno non desiderando affatto un prestigioso lavoro in banca e traendo più felicità dallo stare in compagnia degli amici che dal guadagno della giornata.
Le informazioni, le foto e parte dei commenti sono tratte dal libro: ” Fam Füm Frecc. il grande romanzo degli spazzacamini ” di Benito Mazzi © Priuli & Verlucca Editori www.priuliverlucca.com
Piccolo rusca (spazzacamino) con dietro i bruschi per spazzolare la fuliggine e davanti la raspetta per grattare il catrame:
Una delle foto più famose ecco “il piccolo rusca” Faustino Cappini di Re in Valle Vigezzo morto negli anni trenta, fulminato dai fili dell’alta tensione nel momento in cui sporse la mano per gridare “spazzacaminooo” e mostrare al committente che era giunto in cima.
Foto Aurelio Tanzi – Museo dello spazzacamino di Santa Maria Maggiore
https://it.wikipedia.org/wiki/Ruscus_aculeatus
Il pungitopo, nome volgare del Ruscus aculeatus, comune nella macchia mediterranea, è una pianta cespugliosa sempreverde alta dai 30 agli 80 cm, provvisto di cladodi, fusti trasformati che hanno assunto la funzione delle foglie, divenendo ovali, appiattiti e rigidi, con estremità pungenti. Poco sopra la base dei cladodi, in primavera, si schiudono i minuscoli fiori verdastri, e quindi i frutti, che maturano in inverno, e che sono vistose bacche scarlatte grosse come ciliegie. È specie indicatrice di mediterraneità, costituendo una delle componenti del sottobosco delle pinete e delle leccete.
LO SPAZZACAMINO
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Un vecchissimo mestiere ormai completamente in disuso e che al giorno d’oggi non potremmo neppure inventare, era quello dello spazzacamino. A dire il vero, già ai miei tempi questo mestiere andava sparendo, perché nelle case nuove, come, per esempio, in quella di Castello come in quella di Arzignano, non v’era il caminetto, ma la stufa economica e, per essa, non serviva lo spazzacamino. Invece, nelle case vecchie, come in quella della mia nonna Clorinda in Calpeda, v’era un gran caminetto e per tenere perfettamente pulita la canna fumaria dalla caligine, serviva lo spazzacamino. Lo spazzacamino passava tutti gli anni e non arrivava mai da solo, ma era sempre accompagnato da un ragazzino, forse era un figliolo, forse un aiutante. Questi due si recavano di paese in paese, da contrada in contrada, da casa in casa, anche in quelle più isolate. Ricordo che giungevano imbrattati di fuliggine, che camminavano a piedi scalzi e che, se possedevano le scarpe, le portavano, legate fra loro con i propri lacci, a tracolla sopra una spalla. Di solito l’uomo portava una matassa di corda arrotolata sopra una spalla e sopra l’altra spalla portava una lunga pertica sulla punta della quale era legato un grosso mazzo di pungitopo, che dondolavano ad ogni passo. Il ragazzo aveva a tracolla una borsa all’interno della quale, forse, teneva il desinare e, sopra l’altra spalla, anche lui portava una pertica con legati all’estremità un fascio di pungitopo. Ricordo che, quando giungevano sul limitare del cancello, non entravano assolutamente nella corte, ma si scappellavano, chiamavano la padrona per farsi conoscere e per domandare se avesse bisogno di far pulire la canna del camino. In caso affermativo, chiedevano il permesso di entrare nella proprietà e ci si accordava per il compenso del lavoro. Tante volte, prima dell’opera, lo spazzacamino domandava alla padrona se aveva un tozzo di pane, qualche crosta di formaggio, una caraffa d’acqua o un bicchiere di vino leggero. Se si prevedeva che per il pranzo il lavoro non fosse stato ultimato, si pattuiva nel conteggio anche il mangiare. Il lavoro di raschiare la canna del camino si eseguiva così. Se la canna era sufficientemente capiente, il ragazzo si arrampicava come un gatto, spostandosi dal basso verso l’alto, aiutandosi con le mani e i piedi. Egli portava con sé, sopra una spalla, un matassa di corda arrotolata e, una volta giunto al vertice, fuoriusciva sul tetto e, da lì, lasciava cadere un cappio del rotolo della fune. Lo spazzacamino a terra, legava ben fisso, più o meno a metà del grosso spago, il fastello dei pungitopo e, preparata questa scopa semovente, impartiva l’ordine al ragazzo di tirare in su. Questi strattonava la corda verso l’alto finché il mazzo dei pungitopo arrivava al punto più alto della canna del camino e, dopo, gridava allo spazzacamino a terra di tirare in giù. Nelle prime grattate dei pungitopo, cadeva una gran quantità di fuliggine, che riempiva la cucina e faceva mancare il fiato a chi vi era all’interno. Quest’operazione di su e giù con i pungitopo, era ripetuta finché non cadeva più nulla. Alla fine, il ragazzo scendeva attraverso il foro della canna del camino e puliva alla perfezione, con uno scopino, i buchi all’interno dei quali le punte del fascio di pungitopo non erano arrivate a raspare la caligine lì depositata. Nel caso che la canna del camino non fosse sufficientemente larga per essere attraversata dal giovanetto, questo si recava sopra il tetto passando dall’abbaino. Una volta giunto sopra il tetto, l’opera di scrostare la canna del camino era come se il giovane fosse salito attraverso il foro della canna del camino. Eseguita la commissione e ricevuta la paga, i due spazzacamini ringraziavano, salutavano e si allontanavano più imbrattati di fuliggine che all’arrivo, ma, anche, più contenti perché tenevano qualche moneta in più in tasca.