Variazioni climatiche e inquinamento ambientale
Si tratta di due fenomeni diversi e indipendenti che a volte in qualche caso si sormontano, si intersecano e si influenzano.
Ad esempio l’inquinamento antropico del Bacino padano dovuto alla elevata densità demografico/abitativa, e industriale, al traffico stradale e aereo e alla sua particolare configurazione geografica a catino ove ristagnano le polveri sottili ed altri micro aggregati, per difetto di ventosità e di piovosità è associabile solo in parte alla varizione climitica e in particolare al surriscaldamento causato dalle attività umane.
Mentre il complesso dei fenomeni climatici come l’aumento della temperatura dell’atmosfera e dell’acqua degli oceani e dei mari, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento del livello del mare, la variazione geografica delle correnti marine de dei venti e della piovosità che da un lato provocano piogge intense con alluvioni e innondazioni, grandinate distruttive, ecc. e dall’altro causano siccità, desertificazione e carestia (esempio Deserto del Sahara) è generalmente altro da quello dell’inquinamento anche se su talune questioni vi può essere una qualche convergenza e influenza.
Il Bacino Padano: geografia, clima e qualità dell’aria
Inquinamento, bacino padano: il 19 a Roma firma accordo di programma
Ultimo aggiornamento 19.12.2013
https://www.mase.gov.it/comunicati/inquinamento-bacino-padano-il-19-roma-firma-accordo-di-programma
Il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha convocato a Roma, il prossimo 19 dicembre, i rappresentanti delle Regioni del Bacino Padano per sottoscrivere l’Accordo di Programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell’aria, insieme ai ministeri dello Sviluppo Economico, delle Infrastrutture, delle Politiche Agricole e della Salute.
L’accordo, frutto di un confronto con le autonomie locali che il ministro Orlando ha avviato a partire dal suo insediamento e che è cresciuto con il consenso dei soggetti che sono direttamente chiamati a realizzarlo applicandone le indicazioni, contiene misure di breve, medio e lungo periodo da attuare in modo omogeneo nell’intero Bacino padano e riguardano i settori maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti in atmosfera.
Tali misure hanno un impatto sulla produzione, sui trasporti, sull’edilizia, sulle scelte urbane, sull’utilizzo del riscaldamento e quindi sulla vita delle famiglie e delle imprese.
https://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Orlando
L’attuale riscaldamento della terra, da taluni definito surriscaldamento che sarebbe in parte dovuto alle emissioni di gas serra prodotte dalle attività umane.
Sono chiamati gas serra quei gas presenti nell’atmosfera che riescono a trattenere, in maniera consistente, una parte considerevole della componente nell’infrarosso della radiazione solare che colpisce la Terra ed è emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole.
https://it.wikipedia.org/wiki/Gas_serra
Tale proprietà causa il fenomeno noto come “effetto serra” ed è verificabile da un’analisi spettroscopica in laboratorio. Possono essere di origine sia naturale che antropica (cioè prodotti dalle attività umane). Il Protocollo di Kyoto regolamenta dal 1997 le emissioni dei gas serra ritenuti più dannosi, in particolare CO2, N2O, CH4, esafluoruro di zolfo (SF6), idrofluorocarburi (HFCs) e perfluorocarburi.
Principali gas serra
Il contributo di un gas alla variazione dell’effetto serra è determinato dalla forzante radiativa del gas, dalla sua concentrazione nell’atmosfera e dal suo tempo di permanenza nell’atmosfera. L’indice noto come Global Warming Potential (GWP, potenziale di riscaldamento globale), che rappresenta l’effetto combinato del tempo di permanenza in atmosfera di ogni gas e la relativa efficacia specifica nell’assorbimento della radiazione infrarossa emessa dalla Terra, è una misura di quanto un dato gas serra contribuisca al riscaldamento globale, commisurata alla CO2, assunta come parametro di riferimento e il cui GWP ha per definizione il valore 1[18]. I GWP sono calcolati dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico e sono utilizzati come fattori di conversione per calcolare le emissioni di tutti i gas serra in emissioni di CO2 equivalente[19].
Vapore acqueo (H2O), anidride carbonica (CO2), protossido di azoto (N2O), metano (CH4) ed esafluoruro di zolfo (SF6) sono i gas serra principali nell’atmosfera terrestre. Oltre a questi gas di origine sia naturale che antropica, esiste un’ampia gamma di gas serra rilasciati in atmosfera di origine esclusivamente antropica, come i clorofluorocarburi (CFC), i bromofluorocarburi (BFC) e molte altre sostanze le cui molecole contengono alogeni, le cui emissioni sono regolamentate dal Protocollo di Montréal. I gas alogenati sono emessi in quantità molto inferiori rispetto a CO2, CH4 e N2O e hanno bassissime concentrazioni in atmosfera, ma possono avere un tempo di vita molto lungo e un forte effetto come forzante radiativo, da 3 000 a 13 000 volte superiore a quella del biossido di carbonio. Il contributo di un gas alla variazione dell’effetto serra è determinato dalla forzante radiativa del gas, dalla sua concentrazione nell’atmosfera e dal suo tempo di permanenza nell’atmosfera.
Vapore acqueo
Distribuzione del vapore acqueo nel globo in funzione del tempo (stagione) e della latitudine
Il principale gas a effetto serra è il vapore acqueo (H2O), responsabile per circa due terzi dell’effetto serra naturale, anche se non mancano opinioni secondo cui il vapore acqueo sarebbe responsabile fino al 98% dell’effetto serra. Nell’atmosfera, le molecole di acqua catturano il calore irradiato dalla Terra diramandolo in tutte le direzioni, riscaldando così la superficie della Terra prima di essere irradiato nuovamente nello spazio.
Il vapore acqueo atmosferico è parte del ciclo idrologico, un sistema chiuso di circolazione dell’acqua dagli oceani e dai continenti verso l’atmosfera in un ciclo continuo di evaporazione, traspirazione, condensazione e precipitazione. Tuttavia l’aria calda può assorbire molta più umidità e di conseguenza le temperature in aumento intensificano ulteriormente l’aumento di vapore acqueo in atmosfera e quindi il cambiamento climatico. Esso rappresenta il 70% dei gas a effetto serra che svolgono una vera e propria attività di riflettere di nuovo i raggi sulla Terra, con un’energia radiante di 75 W/m2, ma è anche un fattore di feedback positivo, essendo direttamente legato alla temperatura.
Il suriscaldamento della terra è dovuto in buona parte ad un processo millenario ciclico, iniziato circa 12 mila anni fa.
Glaciazione Würm
https://it.wikipedia.org/wiki/Glaciazione_W%C3%BCrm
La glaciazione Würm è un effetto meteorologico prodotto dall’ultima glaciazione su alcune zone specifiche d’Europa come le Alpi o la Sierra Nevada; per convenzione essa viene estesa anche a livello globale e considerata come ultimo periodo glaciale della Terra, ovvero il più recente periodo glaciale compreso nell’attuale era glaciale, avvenuto nel Pleistocene, incominciato circa 110 000 anni fa e terminato all’incirca 11 700 anni fa.
Fu la quarta glaciazione del Pleistocene, la prima epoca del Quaternario: ebbe inizio circa 110 000 anni fa e terminò circa 12 000 anni fa. Su tutto il pianeta Terra si verificò un abbassamento generale della temperatura e un’ulteriore espansione dei ghiacciai nell’attuale zona temperata. Durante la fase glaciale, i livelli dei mari si abbassarono di oltre 120 m. Alla fine della glaciazione, seguì un periodo tardiglaciale, in cui la temperatura e le precipitazioni raggiunsero gradualmente i valori attuali (inizio Olocene 11 000 anni fa).
Durante questo periodo, vi furono diversi mutamenti tra l’avanzamento e l’arretramento dei ghiacciai. La massima estensione della glaciazione avvenne approssimativamente 18 000 anni fa. Mentre il modello generale di raffreddamento globale e l’avanzamento dei ghiacciai fu simile, le differenze locali nello sviluppo dell’avanzamento e arretramento rendono difficile confrontare i dettagli da continente a continente.
L’ultimo periodo glaciale viene talvolta colloquialmente indicato come “ultima era glaciale”, sebbene questo uso sia inesatto perché un’era glaciale è un lasso di tempo molto più lungo di temperature fredde in cui i ghiacciai continentali coprono vaste zone della Terra, come la regione antartica. I periodi glaciali, invece, si riferiscono a fasi più fredde all’interno di un’era glaciale separati da periodi interglaciali. Perciò, la fine dell’ultimo periodo glaciale non rappresenta necessariamente la fine dell’ultima era glaciale.
La fine dell’ultimo periodo glaciale avvenne circa 12 500 anni fa, mentre la fine dell’ultima era glaciale potrebbe non essere ancora avvenuta: piccole prove indicano un arresto del ciclo glaciale-interglaciale degli ultimi milioni di anni.
L’ultimo periodo glaciale è la parte più conosciuta dell’attuale era glaciale, venne intensivamente studiato nel Nord America, Eurasia settentrionale, Himalaya e in altre regioni che in passato erano ghiacciate. Le glaciazioni avvenute durante questo periodo glaciale coprivano molte aree, principalmente l’emisfero settentrionale e, meno estesamente, l’emisfero meridionale. Hanno nomi differenti, sviluppatisi sia per motivi storici sia per la loro distribuzione geografica:
Vi è da dire che lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare è iniziato alla fine della glaciazione di Wurm e prosegue fino ai nostri giorni. Il mare alla fine della glaciazione di Wurm terminava ad Ancona e con la deglaciazione il livello dell’acqua si è innanzato sino a raggiungere Trieste. Nell’alto Adriatico vi erano molte isole che sono scomparse durante il primo millennio dopo Cristo.
Il Sahara era verde e popolato (tra 12 mila e 5 mila anni fa): la storia dell’evoluzione umana raccontata dal genoma
Martedì, 27 febbraio 2018
Un gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla Sapienza, ha utilizzato una tecnica innovativa di sequenziamento del Dna per ricostruire l’evoluzione della specie umana all’interno del continente africano. I risultati sono pubblicati su Genome Biology
La storia dei movimenti umani attraverso il Sahara è racchiusa non solo nei reperti archeologici riconducibili ad antichi insediamenti sahariani, ma anche nel nostro genoma.
Questa nuova prospettiva, che finora non era mai stata analizzata, è stata adottata dal team di ricerca internazionale coordinato da Fulvio Cruciani del Dipartimento di Biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza di Roma, evidenziando che il pool genetico maschile di popolazioni nord-africane e sub-sahariane è stato plasmato da antiche migrazioni umane trans-sahariane.
Lo studio, pubblicato dal gruppo sulla rivista Genome Biology, costituisce un importante contributo al progresso conoscitivo sull’evoluzione umana e in particolare sul ruolo del cosiddetto “Green Sahara” nel popolamento dell’Africa.
Durante l’optimum climatico dell’Olocene (tra 12 mila e 5 mila anni fa), il Sahara era una terra fertile (da cui “Green Sahara”) e dunque non rappresentava una barriera geografica per eventuali spostamenti umani tra l’Africa sub-sahariana e le coste mediterranee del continente. Per analizzare il popolamento di questa regione i ricercatori si sono avvalsi di una tecnica innovativa (next-generation sequencing) per sequenziare circa 3,3 milioni di basi del cromosoma Y umano in 104 individui maschi, selezionati mediante uno screening di migliaia di campioni.
Lo studio della distribuzione geografica dei diversi cromosomi Y permette di fare inferenze riguardo eventuali eventi demografici del passato a carico della nostra specie. Mediante questa analisi, sono state individuate 5966 varianti geniche (di cui il 51% mai descritte in precedenza). Studiando la variabilità genetica di queste varianti in 145 popolazioni africane ed eurasiatiche è stato possibile evidenziare massicce migrazioni umane avvenute sia attraverso il deserto del Sahara (prima della desertificazione) che attraverso il bacino del Mediterraneo.
“Il cromosoma Y – precisa Eugenia D’Atanasio, primo autore condiviso della ricerca – viene trasmesso dal padre ai soli figli maschi, fornendo quindi una prospettiva solo “al maschile” dell’evoluzione umana recente. Il confronto dei dati dell’Y con quelli relativi al Dna mitocondriale (trasmesso lungo la linea materna) e agli autosomi (trasmessi da entrambi i genitori) ha evidenziato differenze dei due sessi nel plasmare la variabilità genetica del Nord Africa, con un contributo femminile recente riconducibile alla tratta araba degli schiavi e un contributo maschile più antico, che risale principalmente al periodo del “Green Sahara”.
“Questa analisi – aggiunge Beniamino Trombetta, co-autore della ricerca – ha anche evidenziato massicci spostamenti avvenuti attraverso il bacino del Mediterraneo, che hanno coinvolto antichi movimenti di popolazioni umane dall’Europa all’Africa e viceversa, mostrando come i contatti tra queste due regioni siano sempre avvenuti fin dai tempi preistorici”.
In questo studio, per la prima volta, si trova la traccia genetica di migrazioni umane trans-sahariane che erano state sino a ora ipotizzate soltanto mediante l’analisi della cultura materiale. Gli scenari proposti contribuiscono a una migliore comprensione dell’evoluzione umana recente e aprono la strada a nuove linee di ricerca riguardo la nostra storia.
Il Sahara (AFI: /saˈara/; dall’arabo الصحراء, sahrāʾ, “deserto”) è il più vasto deserto caldo della Terra, con una superficie di 9000000 km², posto nell’Africa settentrionale, tra 16° di longitudine ovest e 35° longitudine est, e attraversato dal Tropico del Cancro (23° 27′ latitudine nord).
https://it.wikipedia.org/wiki/Deserto_del_Sahara
Da carotaggi effettuati nell’Atlantico africano si è constatato che le polveri sabbiose del deserto depositate dai venti costanti evidenziano che non esistono reperti sabbiosi prima di tre milioni di anni prima del presente, ciò prova che la zona desertica sahariana non esiteva prima di tre milioni di anni fa e precedentemente era un’area forestale tropicale. Gli stessi carotaggi marini dimostrano che circa 11700 anni prima del presente la zona desertica ha trascorso un periodo di fertilità. Il clima del Sahara ha subito enormi variazioni tra umido e secco negli ultimi 100.000 anni. Ciò è dovuto a un ciclo di 41.000 anni in cui l’inclinazione della terra cambia tra 22° e 24,5°. Allo stato attuale (XXI secolo), siamo in un periodo secco, ma si prevede che il Sahara diventerà di nuovo verde tra 15.000 anni (17000 d.C.).
Durante l’ultimo periodo glaciale, il Sahara era ancora più grande di quello che è oggi, estendendosi a sud oltre i suoi confini attuali. La fine del periodo glaciale ha portato più pioggia nel Sahara, dal “younger dryas event” risalente circa a 12800 anni prima del presente fino al 6000 a.C., probabilmente a causa delle aree di bassa pressione sopra le lastre di ghiaccio in rottura a nord. Si instaurò così l’ultimo periodo umido africano.
Scomparse le ultime lastre di ghiaccio il Sahara ha iniziato ad asciugarsi al nord, mentre nel sud il fenomeno è stato contrastato dai monsoni, che spingevano le piogge più a nord di quanto non avvenga oggi. Solo verso il 4200 a.C., con il ritiro a sud del monsone, la situazione è diventata progressivamente quella attuale.
Segnali recenti indicano che il Sahara e le regioni circostanti si stanno “rinverdendo” a causa di un aumento delle precipitazioni. Immagini satellitari mostrano un vasto “rinverdimento” del Sahel tra il 1982 e il 2002 e l’aumento delle aree di pascolo è stato osservato dallo scienziato del clima Stefan Kröpelin.
La piovosità e il cambiamento climatico
Il cambiamento climatico e le piogge , questione ancora aperta
???
Luigi Bignami
5 settembre 2019
https://www.focus.it/ambiente/natura/come-il-cambiamento-climatico-altera-le-piogge
I ricercatori del National Center for Atmospheric Research (NCAR, Usa), utilizzando un approccio innovativo, basato sui dati meteo delle precipitazioni dell’ultimo secolo (1921-2015) elaborati da evoluti modelli di circolazione atmosferica su larga scala e analizzati con tecniche statistiche e simulazioni climatiche, hanno dimostrato che vi sono state importanti variazioni nella quantità delle precipitazioni che hanno interessato l’intero emisfero nord del Pianeta (Eurasia e Nord America): in alcune regioni sono notevolmente diminuite, in altre sono radicalmente aumentate.
Una variazione improvvisa e temporanea di temperatura sopra casa vostra è un evento meteorologico; l’aumento di 1 °C della temperatura media globale della Terra è “riscaldamento globale”, che inevitabilmente porta a cambiamenti climatici. Per approfondire: C’è clima e clima (e poi c’è il meteo). © SP Vector Art / Shutterstock
«Lo studio», afferma Clara Deser, co-autrice della ricerca, «dimostra in modo inequivocabile che il cambiamento climatico avvenuto negli ultimi decenni, indotto dall’uomo, ha influenzato le precipitazioni degli ultimi 100 anni.» Dal 1920 a oggi sono aumentate sull’Eurasia settentrionale e sul Nord America, mentre una significativa diminuzione si è avuta sulle regioni centrali degli Stati Uniti e nel sud dell’Eurasia.
Gli autori dello studio (pubblicato su Geophysical Research Letters) hanno rilevato che, a livello globale, si ha un aumento delle precipitazioni dell’1-2 per cento per ogni grado in più di temperatura dell’atmosfera, perché c’è una maggiore evaporazione degli oceani. Ma il complesso sistema della circolazione atmosferica fa sì che le precipitazioni non siano uniformi ovunque, al punto che in alcune regioni del mondo la quantità potrebbe diminuire, e non di poco.
Il vortice polare si indebolisce (il circolo azzurro) e lascia scivolare verso sud l’aria artica. Anche le correnti a getto (le onde blu) diventano più deboli e l’aria più calda (frecce rosse) si spinge a nord. L’aria polare, densa e fredda, penetra verso sud e si blocca sugli Stati Uniti. L’aria più calda sale e si ferma sull’Europa. Per approfondire: dove sono finite le stagioni? (pdf dal Dossier Focus 269).
Come gli stessi ricercatori ammettono, il lavoro è stato molto complesso, perché è difficile separare quelle che sono le variabilità climatiche naturali da quelle indotte dall’uomo. Per iniziare, lo studio ha preso in considerazione i periodi invernali, più semplici da studiare dal punto di vista della circolazione atmosferica. Il team ha dapprima determinato in modo statistico la quantità di pioggia caduta durante i vari anni, poi ha calcolato le possibili variazioni naturali: è a partire da questi dati che è emerso che l’aumento o la diminuzione delle precipitazioni che si sono verificate non potevano che essere indotte dai cambiamenti climatici causati dall’uomo.
Il tutto è stato verificato passo a passo confrontando i dati reali con quello che mostravano i modelli, finché i ricercatori sono riusciti ad affinare questi ultimi fino a farli concordare nel miglior modo possibile con la realtà. Il metodo si è dimostrato molto affidabile e sarà adesso utilizzato per avere previsioni accurate sulla piovosità dei prossimi decenni, in funzione di vari scenari di aumento delle temperature.
Cambiamento climatico
(questione complessa e difficile che si presta a manipolazioni ideologiche e politiche)
https://it.wikipedia.org/wiki/Cambiamento_climatico
In climatologia con i termini cambiamenti climatici o mutamenti climatici si indicano le variazioni del clima della Terra, cioè le variazioni a diverse scale spaziali (regionale, continentale, emisferica e globale) e storico-temporali (decennale, secolare, millenaria e ultramillenaria) dei parametri statistici (valor medio, minimo, massimo, varianza, etc.) relativi a una o più grandezze di carattere climatico o ambientale, ad esempio: temperatura, pressione e composizione chimica dell’atmosfera, precipitazioni, nuvolosità, temperatura degli oceani, distribuzione e sviluppo di piante e animali.
Clima e il catastrofismo ambientalista
Clima, politica energetica US e Greta con i suoi gretini
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtopic.php?f=162&t=2639
D.Lgs. n. 183 del 15/11/2017
Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 15 novembre 2017, n. 183, di attuazione della direttiva (UE) 2015/2193 relativa alla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti
Atto del Governo 138
https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01141333.pdf
https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/12/16/17G00197/sg
Cosa dice la normativa
Qualità dell’aria
https://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/aria/cosa-dice-la-normativa
La norma di riferimento in tema di qualità dell’aria è il Decreto Legislativo n. 155/2010 “Attuazione della direttiva 2008/50/UE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”, che istituisce un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente, abrogando il corpus normativo previgente in materia.
Tale decreto regolamenta i livelli in aria ambiente di biossido di zolfo (SO2), biossido di azoto (NO2), ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO), particolato (PM10 e PM2.5), benzene (C6H6), ozono (O3), oltre ai livelli nel particolato PM10 di cadmio (Cd), nichel (Ni), arsenico (As), piombo (Pb) e benzo(a)pirene (BaP).
Gli inquinanti atmosferici sono regolati attraverso diversi tipi di soglie che si differenziano per tipo di bersaglio da proteggere (salute umana, vegetazione, ecosistemi) e per orizzonte temporale di conseguimento (breve o lungo termine): valore limite; valore obiettivo; obiettivo a lungo termine; soglia di informazione e di allarme; livello critico. Le definizioni più importanti contenute nel D.Lgs.155/2010 sono consultabili al seguente link.
Il provvedimento individua nelle Regioni le autorità competenti per effettuare la valutazione della qualità dell’aria e per la redazione dei Piani di Risanamento della qualità dell’aria, che devono individuare le misure per il raggiungimento degli standard normativi.
L’attività di valutazione della qualità dell’aria si basa sul concetto di zonizzazione: basandosi sui superamenti delle soglie di valutazione stabilite dal decreto (in riferimento ad un periodo di monitoraggio di almeno tre anni sui cinque precedenti), il territorio viene suddiviso in zone e agglomerati, cui corrispondono differenti modalità di misurazione dei livelli degli inquinanti atmosferici: misurazioni in siti fissi, misurazioni indicative e tecniche di modellazione.
La Regione Veneto ha approvato, con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 57/2004, il PRTRA, Piano Regionale di Tutela e Risanamento dell’Atmosfera, successivamente aggiornato con DCRV n. 90/2016. Nel novembre 2021, con DGRV n. 1537/2021, la Giunta regionale ha avviato la procedura di aggiornamento del PRTRA, avvalendosi del supporto di ARPAV.
Il decreto definisce la rete minima di misura: a seconda dell’inquinante e del numero di abitanti nella zona o agglomerato, viene stabilito il numero minimo di stazioni di monitoraggio, con ulteriori indicazioni relativamente ai criteri di ubicazione su macroscala e microscala.
Ai fini della validità del monitoraggio, il decreto riporta inoltre gli obiettivi di qualità dei dati per le misurazioni in siti fissi, le misurazioni indicative e le tecniche di modellizzazione.
Vengono infine indicati i metodi di riferimento per il campionamento e l’analisi degli inquinanti.
In attuazione del Decreto Legislativo n. 155/2010 sono stati emanati una serie di decreti disponibili a questo link.
Le Regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte da anni hanno posto in atto misure e Piani della qualità dell’aria e definito e coordinato un insieme di azioni comuni attraverso la sottoscrizione di numerosi Accordi.
Si menziona in proposito l’Accordo di programma per l’adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell’aria nel Bacino Padano, approvato in Veneto con DGRV n. 836/2017, strumento fondamentale per rafforzare la sinergia tra le Regioni appartenenti al Bacino Padano in tema di riduzione dell’inquinamento atmosferico. Le azioni più significative riguardano l’adozione di provvedimenti volti a limitare la circolazione veicolare e l’introduzione di divieti relativi ai generatori di calore alimentati a biomassa.
La citata Direttiva 50/2008/UE è oggetto, in Veneto, di una procedura di infrazione arrivata in giudicato, per il superamento del valore limite giornaliero del PM10 in tutte le zone, tranne Prealpi e Alpi e Fondovalle, e una dichiarazione di messa in mora relativa alle concentrazioni di PM2.5 per gli agglomerati di Venezia e Padova.
A seguito della sentenza di condanna del novembre 2020 per la violazione sistematica e continuata delle disposizioni della Direttiva per il PM10, con DGRV n. 238/2021 il Veneto ha approvato il ”Pacchetto di misure straordinarie per la qualità dell’aria”, volto a rafforzare ulteriormente la programmazione regionale in vigore in tema di inquinamento da particolato atmosferico e suoi precursori. Le misure del Pacchetto si applicano a tutto il territorio regionale nel triennio 2021-2023, e riguardano sostanzialmente i seguenti settori:
Agricoltura: interventi volti a ridurre le emissioni di ammoniaca derivanti dalle pratiche agricole e zootecniche; incentivazione all’acquisto di attrezzature per l’interramento immediato dei liquami e per l’incorporazione immediata dei concimi, nonché alla copertura delle vasche di stoccaggio dei liquami ed altri interventi di tipo strutturale e gestionale negli allevamenti; conferma del divieto di combustione all’aperto di residui vegetali;
Trasporti: interventi volti a ridurre gli ossidi di azoto e il PM10 primario derivanti dall’utilizzo di mezzi inquinanti, con particolare riguardo, per il trasporto pubblico locale, al rinnovo del parco mezzi su gomma e all’acquisto di natanti a emissioni basse o nulle;
Energia/Ambiente: interventi volti ad incentivare la rottamazione dei veicoli fino a Euro 4; estensione su tutto il territorio regionale del divieto di combustione di biomasse per stufe inferiori alla categoria ambientale “3 stelle” in allerta verde e inferiore a “4 stelle” in condizioni di allerta arancio e rosso; incentivazione della rottamazione delle stufe obsolete con classificazione inferiore “3 stelle”; organizzazione di campagne informative sui temi della pulizia delle canne fumarie e sui divieti di combustione di biomasse per le stufe inquinanti; riduzione della temperatura nelle abitazioni e negli edifici pubblici di un ulteriore grado centigrado in condizioni di allerta arancione e rossa.
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Emissioni
Per la prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera il riferimento principale è costituito dal Decreto Legislativo n. 152/2006 e s.m.i. (Testo unico ambientale), Parte V, che si applica a tutti gli impianti (compresi quelli civili) ed alle attività che producono emissioni in atmosfera stabilendo valori di emissione, prescrizioni, metodi di campionamento e analisi delle emissioni oltre che i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai limiti di legge.
Il testo unico è stato aggiornato dal D.Lgs. n. 128/2010 e dal D.Lgs. n. 46/2014, che oltre a modificarne le Parti II, III, IV e V, ha assorbito ed integrato i contenuti del D.Lgs. n. 33/2005 sull’incenerimento e coincenerimento dei rifiuti.
Ulteriori aggiornamenti sono intervenuti con il D.Lgs. n. 183 del 15/11/2017 con il quale si è data attuazione alla Direttiva UE 2015/2193 relativa alla limitazione delle emissioni di alcuni inquinanti originati da impianti di combustione medi, definiti come gli impianti di “potenza termica nominale pari o superiore a 1 MW e inferiore a 50 MW”. Al Titolo II introduce la definizione di medi impianti termici civili, ossia quelli di potenza pari o superiore a 1 MW, seguita da ulteriori disposizioni specifiche.
Per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale (AIA) vale quanto previsto dal D.Lgs. 152/2006 (Parte II, Titolo III-bis) che ha ripreso, in toto, i contenuti del D.Lgs. n. 59/2005 (già abrogato dal D.Lgs. 128/2010).
Il 13 marzo 2013 è stato emanato il DPR n. 59/2013 che, oltre a regolamentare e semplificare gli adempimenti in materia di autorizzazione unica ambientale (AUA) per gli impianti non soggetti ad autorizzazione integrata ambientale, obbliga gli stabilimenti, in cui sono presenti attività ad emissioni scarsamente rilevanti, all’adozione delle autorizzazioni di carattere generale riportate in Allegato I al DPR n. 59/2013 stesso.
Il DPR n. 74/2013 definisce i criteri generali in materia di esercizio, conduzione, controllo, manutenzione e ispezione degli impianti termici per la climatizzazione invernale ed estiva degli edifici e per la preparazione dell’acqua calda per usi igienici sanitari.
Il Decreto ministeriale n. 186/2017 disciplina invece l’importante ambito dei requisiti, procedure e competenze per il rilascio di una certificazione dei generatori di calore alimentati a biomasse combustibili solide. Il provvedimento individua le classi di prestazione emissiva dei generatori di calore per il rilascio della certificazione ambientale (in base al numero di stelle) e prevede che il produttore richieda ad un organismo notificato il rilascio della certificazione ambientale dell’impianto.
Infine il Decreto Legislativo n. 81/2018, in recepimento della direttiva 2016/2284/UE (direttiva NEC – National Emission Ceilings), stabilisce i nuovi impegni nazionali di riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti ad effetto acidificante ed eutrofizzante e dei precursori dell’ozono, ovvero biossido di zolfo (SO2), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili non metanici (COVNM), ammoniaca (NH3) e particolato fine (PM2,5).
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Ultimo aggiornamento
06-12-2022 11:36
Legno, biomassa e combustibili fossili – fotosintesi e combustione
Gli esseri viventi o materia organica vivente sono costituiti dalla materia inorganica e si nutrono e di materia organica e di materia inorganica come l’acqua e l’aria. Ad un certo stadio dell’evoluzione cosmica e terrestre, una certa parte della materia inorganica della terra variamente combinata o composta è stata resa organica dalla luce del sole che ha suscitato la vita combinando il carbonio, l’idrogeno e l’ossigeno come nella fotosintesi clorofilliana, mliardi di anni fa.
Cambiamento climatico – Inversione della circolazione terrestre
Fenomeno geofisico che non è causato dall’effetto serra, dalla CO2 e dalla combustione dei comustibili fossili.
L’inversione dei poli magnetici che cambiò il clima della Terra
22 febbraio 2021
Il minimo d’intensità del campo magnetico terrestre che precedette l’ultima inversione dei poli magnetici di 41.000 anni fa provocò un profondo cambiamento della concentrazione e della circolazione dell’ozono in atmosfera, influendo sul clima globale in coincidenza con l’estinzione della megafauna e la scomparsa dei Neanderthal
Profondi cambiamenti della temperatura e della circolazione atmosferica su scala globale, eventi di estinzione delle specie animali, e forse anche trasformazioni delle culture umane testimoniate dalle documentazioni archeologiche: tutti questi eventi avvenuti intorno a 40.000 anni fa potrebbero essere stati innescati da un’inversione del campo magnetico terrestre. È questa la conclusione di uno studio pubblicato sulla rivista “Science” da Alan Cooper del South Australian Museum di Adelaide, in Australia, e …
I ricercatori tedeschi affermano che l’inversione magnetica della Terra non provocherà l’apocalisse
17 Maggio 2004
Secondo un gruppo di ricercatori tedeschi, è infondata la paura di essere bombardati da radiazioni nocive provenienti dallo spazio quando il campo magnetico terrestre verrà stravolto dalla prossima inversione dei poli. Gli scienziati ritengono che vi sia un numero sempre magg…
Secondo un gruppo di ricercatori tedeschi, è infondata la paura di essere bombardati da radiazioni nocive provenienti dallo spazio quando il campo magnetico terrestre verrà stravolto dalla prossima inversione dei poli.
Gli scienziati ritengono che vi sia un numero sempre maggiore di segnali che la polarità magnetica del nostro pianeta si sta preparando all’inversione; un fatto simile è accaduto 730.000 anni or sono. Molti hanno affermato che durante questo processo, quando il campo magnetico che protegge la Terra potrà ridursi sotto al 10 per cento della sua forza normale per molti secoli, non vi sarà più nulla che riuscirà ad arrestare le radiazioni letali, le quali raggiungeranno così la crosta terrestre, con potenziali conseguenze catastrofiche per la vita.
Tuttavia, una nuova simulazione dei ricercatori dell’Università di Monaco e dell’Istituto Max Planck a Garching, in Germania, ha evidenziato che il Sole verrà in soccorso del suo terzo satellite. Il gruppo ritiene che il vento solare, una corrente di nuclei di idrogeno ed elio che viaggia a velocità di un milione di chilometri orari, avvolgerà la Terra creando un campo magnetico forte proprio come quello della Terra stessa.
Descrivendo i primi risultati della simulazione, Harald Lesch dell’Università di Monaco ha affermato: “Siamo sorpresi della sua efficacia”. Le ricerche del gruppo sono tempestive: il campo magnetico del polo nord si è spostato di circa 1.100 chilometri negli ultimi 200 anni e la sua forza sta diminuendo del cinque per cento ogni secolo, due segnali che preludono a un’imminente inversione magnetica.