La cova del sole

La cova del sole

Filogenesi della vita, dalla luce del sole, dall’aria, dall’acqua e dalla terra

 

 

 

 

 

La filogenesi della vita inizia con la cova del sole che genera le prime molecole organiche, partendo da composti inorganici (es.minerali), poi delle prime cellule plurimolecolari e dei primi organismi pluricellulari e prosegue con il miracolo della fotosintesi clorofilliana che dà vita ai primi microorganismi vegetali complessi e che la alimenta costantemente.

Il mondo degli organismi vegetali si nutre dell’aria (e dei suoi gas come il carbonio, l’azoto e l’ossigeno), dell’acqua (dell’idrogeno in essa contenuto), della terra (dei suoi minerali disciolti nell’aqua) e del sole (della sua energia luminosa e calorica e delle sue segrete e miteriose radiazioni).

Essi, i vegetali, sono i primi e più antichi organismi viventi complessi. Poi sono arrrivati gli animali erbivori che si nutrono di loro (di erba, di foglie, di radici, di bacche, di semi, di frutta, di biomassa in disfacimento) e poi sono arrivati i carnivori che si nutrono degli animali erbivori e infine gli onnivori che si nutrono sia dei vegetali che degli animali erbivori che degli animali carnivori.

Alla fine del loro ciclo vitale, quando l’energia vitale che gli animava si esaurisce e dissolve, tutti gli organismi muoiono, si spengono e si scompongono ridiventando aria (gas, carbonio, ossigeni e azoto), acqua (idrogeno) e terra (minerali, cenere, polvere).

Proprio come racconta la Bibbia, ridiventano polvere, polvere di terra e di stelle.

 

 

La filogenesi (non comune filogenia) è il processo di ramificazione delle linee di discendenza nell’evoluzione della vita. La sua ricostruzione è fondamentale per la sistematica, che appunto si propone di ricostruire le relazioni di parentela evolutiva tra gruppi tassonomici (a qualunque livello sistematico) di organismi.

https://it.wikipedia.org/wiki/Filogenesi

«La filogenesi è un processo evolutivo degli organismi vegetali e animali dalla loro comparsa sulla Terra a oggi»

(Rita Levi Montalcini, La Galassia Mente, Baldini & Castoldi, Milano, 2001)

La filogenesi studia l’origine e l’evoluzione di un insieme di organismi (in genere di una specie). Compito essenziale della sistematica è determinare le relazioni ancestrali fra specie note (vive o estinte).

 

 

 

 

 

 


 

Origine della vita

Università di Trieste – Corso di Laurea Geologia – A.A. 2019/20

https://moodle2.units.it/pluginfile.php/312010/mod_resource/content/1/07%20origine%20della%20vita.pdf

 

Le teorie attualmente più accreditate hanno in comune l’ipotesi di una:

Evoluzione precellulare

Si accetta universalmente che le prime forme di vita sono costituite da batteri che vivevano in ambienti marini.

Viene generalmente ammesso che lo sviluppo e l’evoluzione della vita sia avvenuto attraverso 5 tappe successive:

  1. Origine delle prime molecole organiche, partendo da composti inorganici (es.minerali)
  2. Sintesi di molecole organiche ad elevata massa molecolare
  3. Transizione non viventi – viventi precellulari (precursori delle prime cellule)
  4. Comparsa di primi organismi unicellulari, caratterizzati da cellule privi di nucleo (procarioti)
  5. Comparsa di primi organismi unicellulari, con cellule provviste di nucleo differenziato (eucarioti unicellulari)

 

Mentre le prime tre tappe sono ancora in gran parte ipotetiche e dimostrabili solo parzialmente, le ultime due (4 e 5) sono ben documentate.

Le fonti di energia necessarie per alimentare le prime reazioni chimiche (1-3) si ammette che possano essere

state:

-energia solare

-geotermica (vulcanismo sottomarino)

-fulmini

-radiazione UV

-radiazioni ionizzanti (raggi β e γ, per decadenza radioattiva)

-onde d’urto (impatto meteoriti, etc

 

Le prime prove di vita datano circa 4 miliardi di anni fa, cioè appena 500 Ma da quando la crosta terrestre si è solidificata (4.5 miliardi di anni).

La vita deve quindi aver avuto origine in un intervallo compreso tra 4.5 e 4 miliardi di anni fa.

 

I microfossili e i dati di geochimica isotopica testimoniano concordemente della grande antichità della vita.

Appena un miliardo di anni dopo la consolidazione della Crosta, la sua superficie pullulava di un microscopico mondo di microrganismi ad alta biodiversità:

autotrofi ed eterotrofi, produttori e/o consumatori di ossigeno, altri capaci di vivere in assenza di ossigeno, altri capaci di produrre metano o altri prodotti chimici (es. acido solfidrico).

Le ricerche paleobiologiche integrate (micropaleontologia e geochimica isotopica) rivelano che l’evoluzione primordiale della vita fu sorprendentemente rapida ed articolata.

 

 

 

 

 

 

Esperimento di Muller

https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Miller-Urey

L’esperimento di Miller-Urey rappresenta la prima dimostrazione che, nelle giuste condizioni ambientali, le molecole organiche si possono formare a partire da sostanze inorganiche più semplici.

L’esperimento fu condotto nel 1953 presso l’Università di Chicago dal chimico Stanley Miller e dal suo docente, il premio Nobel Harold Urey, per dimostrare la teoria di Oparin e Haldane che ipotizzavano che le condizioni della Terra primordiale avessero favorito reazioni chimiche conducenti alla formazione di composti organici a partire da componenti inorganiche.

Per compiere questo esperimento Miller ricreò le condizioni ambientali che si pensava fossero presenti nella Terra primordiale. Partì dal presupposto che in quell’atmosfera non ci fosse ossigeno libero, quanto piuttosto abbondasse idrogeno (H2), l’elemento più diffuso nell’universo, e altri gas quali metano (CH4) e ammoniaca (NH3), oltre ad acqua (H2O). Con queste condizioni ed in presenza di una fonte di energia, come i fulmini o la radiazione solare, si sarebbero potute originare molecole più complesse.

Per l’esperimento Miller e il suo professore si servirono di un sistema sterile costituito da due sfere contenenti l’una acqua allo stato liquido e l’altra i gas elencati precedentemente e due elettrodi, collegate tra loro da un sistema di tubi sigillati. L’acqua veniva scaldata per indurre la formazione di vapore acqueo mentre i due elettrodi venivano utilizzati per fornire scariche elettriche che simulavano fulmini. Il tutto veniva poi raffreddato cosicché l’acqua potesse ricondensare e ricadere nella prima sfera per ripetere il ciclo.

Dopo circa una settimana ininterrotta in cui le condizioni erano mantenute costanti, Miller osservò che circa il 15% dell’idrogeno era andato a formare composti organici, tra cui alcuni amminoacidi ed altri potenziali costituenti biologici, come elencati nella tabella sotto riportata.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

Uno studio ci dà nuovi indizi sull’origine della vita

Enrico Bucci

8 giugno 2023

 

https://www.ilfoglio.it/scienza/2023/06/08/news/uno-studio-ci-da-nuovi-indizi-sull-origine-della-vita-5356911/?fbclid=IwAR2PjWR3EPeysF0FLkQxuAPEXZyxbeM-oDQ4GH3tcwJT2slpk-PYwvrjJjI

 

La base per l’emersione di sistemi chimici con un metabolismo energetico e con le caratteristiche necessarie ad innescare un’evoluzione darwiniana appare sempre meglio definita, e non è improbabile che questa base sia presto riprodotta in un laboratorio, o trovata in qualche angolo dell’universo

In quanti modi è possibile ottenere il sorgere di replicatori darwiniani del tipo di quelli da cui si è originata la vita? RNA e biomolecole che conosciamo sono le uniche possibilità? No di certo. A ricordarcelo, un nuovo lavoro, in cui si dimostra come molecole a base di carbonio possono spontaneamente dare origine a replicatori con un proprio “metabolismo” energetico, i quali, se acquisiscono per cause ambientali differenze significative fra loro, danno origine ad una gara competitiva per le risorse disponibili, con il risultato finale che porta alla selezione del tipo più efficiente. Il tutto, in un sistema completamente al di fuori di quella che chiamiamo biochimica, in un ambiente in provetta e basandosi sull’impiego di molecole artificiali relativamente semplici.

Intendiamoci bene: evidenze che replicatori darwiniani potessero emergere spontaneamente in soluzione, con una varietà di possibilità, era già stato dimostrato molte volte, per esempio utilizzando ambienti chimici che portavano all’emersione di RNA autoreplicativi e competitivi, in grado di evolvere autonomamente in una popolazione variegata contenente perfino dei parassiti. Il nuovo lavoro, tuttavia, per la prima volta mostra come uno dei motori fondamentali dell’evoluzione darwiniana – la competizione fra popolazioni che competono per le stesse fonti di energia – porta rapidamente alla scomparsa della popolazione meno efficiente, se una delle due ha acquisito un vantaggio competitivo, per oggetti di formazione spontanea della dimensione di oltre 1 micron (cioè più grandi della maggioranza dei virus conosciuti), completamente diversi e molto più semplici di qualunque cosa siamo abituati a pensare viva.

I ricercatori sono partiti da una miscela in soluzione di piccole molecole, le quali, irradiate con luce verde, nelle opportune condizioni danno origine e composti più grandi, ovvero degli specifici polimeri, i quali spontaneamente (come farebbero gli acidi grassi componenti di una membrana biologica) si assemblano in sferette delle dimensioni che si diceva. Queste sferette contengono al loro interno acqua e parte del materiale di partenza, che non ha ancora reagito a dare i composti più grandi. Man mano che la reazione chimica scatenata dalla luce verde procede, le sferette diventano instabili, perché i polimeri di cui sono composte si accrescono ancora in dimensione e perché nuovi polimeri sono formati al loro interno; alla fine, una sferetta “cresciuta troppo” perde una porzione dei suoi polimeri costitutivi, i quali daranno origine ad una nuova sferetta più piccola, la quale, se ve ne sono disponibili, incapsulerà ancora un po’ delle molecole di partenza per continuare il ciclo riproduttivo.

Finché vi è “cibo” disponibile, sotto forma di molecole di partenza ed energia luminosa, la popolazione di sferette cresce; quando esso comincia a scarseggiare, la crescita rallenta sempre più, e la dimensione della popolazione si stabilizza. La curva di crescita della popolazione e la sua dipendenza dal “cibo” riproducono perfettamente quelle che si osservano in popolazioni di batteri o di protozoi, cresciute in presenza di una fonte limitata di energia.

Le cose si fanno interessanti se, nell’ambiente, è presente un “jolly” chimico, ovvero una molecola che, funzionando da catalizzatore, è in grado di accelerare il “metabolismo” delle sferette, aumentando la velocità e l’efficienza con cui il “cibo” può essere trasformato in polimeri costitutivi delle sferette. Prevedibilmente, le sferette che incorporano questo catalizzatore, messe in presenza delle altre senza di esso, aumentano di numero ad un tasso molto maggiore, sia consumando più velocemente il “cibo” disponibile, sia, in conseguenza di ciò, dividendosi più velocemente. Anche in questo caso, l’andamento delle curve di crescita delle due popolazioni in competizione è sovrapponibile a quanto osservato in esperimenti con organismi viventi molto simili fra loro, come due specie di protozoi, quando una delle due ha qualche chiaro vantaggio competitivo nello sfruttare le risorse disponibili.

L’insieme di questi risultati possono sembrare il gioco di un chimico, ma bisogna considerare alcune cose.

Primo: la chimica coinvolta nell’esperimento è davvero molto semplice e basica, di un tipo che non è impossibile immaginare sia in molti posti dell’universo. La biochimica complessa, per osservare questa sorta di protovita autoreplicante e dotata di un metabolismo energetico, non è necessaria.

Secondo: invece che per replicazione con errori trasmissibili, i tratti adattativi possono essere acquisiti da replicatori chimici almeno inizialmente direttamente dall’ambiente. Se questo, come in molti punti dell’universo, è sufficientemente complesso da un punto di vista chimico, la possibilità che dei replicatori siano più adatti di altri, dopo arruolamento di cofattori dall’esterno, è ben individuabile.

Terzo: il tratto darwiniano di cui al punto precedente, ovvero la replicazione con errore trasmissibile, ha una proprietà ben identificabile alla sua base: un meccanismo che si basa su una sorta di “stampo molecolare” per generare una copia dello stampo stesso, meccanismo soggetto a qualche tasso di errore controllato per pure ragioni termodinamiche e trasmissibile attraverso la generazione di “stampi” alterati. Ebbene, anche questa caratteristica non è una prerogativa delle molecole complesse che formano la vita sulla Terra, potendosi osservare in composti diversissimi e anche questi molto più semplici.

Alla luce di questi dati, e considerando la grande disponibilità di tutto ciò che serve (condizioni esterne incluse) in ogni angolo del cosmo, la base per l’emersione di sistemi chimici con un metabolismo energetico e con le caratteristiche necessarie ad innescare un’evoluzione darwiniana appare sempre meglio definita, e non è improbabile che questa base sia presto riprodotta in un laboratorio, o trovata in qualche angolo dell’universo che stiamo scandagliando proprio per questo.